Sesto Savelli, classe 1901 rimane nella memoria di chi lo conobbe, come il paradigma dell'uomo buono e laborioso. Grande appassionato di cavalli, era diventato famoso per la sua
abilità nel saperli domare. A quei tempi, le occasioni più importanti d'incontro erano le fiere ed i mercati che si svolgevano ogni settimana nei paesi limitrofi.
Genti e mercanti da ogni dove vi accorrevano per contrattare bestiame e beni di ogni tipo, e così anche Sesto non poteva assolutamente mancare. Come sua abitudine però, in questi casi era solito preferire al cavallo
la motocicletta.
Ancora lo ricordano poiché sollevava nuvole di polvere bianca sfrecciando a bordo della sua motocicletta Guzzi 500, una delle pochissime in circolazione a quei tempi.
Il rombo della moto e la vista dell'immancabile cappello, facevano sì che tutti lo riconoscessero da lontano e si fermassero per salutare il suo passaggio, mentre lui avanzando
ricambiava il saluto sollevando le ultime due dita della mano destra. Tra queste passioni non poteva di certo mancare però la più grande, ovvero quella per la cura dei suoi lunghi filari di viti.
Proprio per raggiungere più velocemente il vigneto posto immediatamente sotto le mura castellane, egli costruì una minuscola scaletta in ferro che uscendo da una
porticina del palazzo Savelli, letteralmente a picco sul punto più alto delle mura, si accostava ad esse e raggiungeva quasi verticalmente la sottostante strada Bellaluce.
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A quei tempi, al posto dei vigneti c'erano lunghi filari maritati ad oppio che amava accudire personalmente seguendo gli antichi insegnamenti paterni.
La sua notorietà era tale da richiamare mediatori fin dall'Umbria, ed in particolare da Gubbio, per prenotare il vino destinato alle numerose osterie.
Ancora si tramandano i racconti dell'atmosfera di festa che accompagnava quegli eventi annuali, così come ricordano Sesto mentre passava dalle operazioni commerciali, all'aiuto
fattivo dei contadini nei lavori più complessi. Era usanza che durante la vendemmia, i contadini che vivevano e lavoravano nei poderi a mezzadria, dopo aver raccolto e pigiato
l'uva, la "presentassero al padrone" per farne a mezzo. Era tradizione che in quel giorno venissero poi tutti invitati a pranzo nella casa padronale, dove Nonna Tecla
preparava grandi tegami di stoccafisso con patate. Si trattava di una grande festa per tutto il paese e Palazzo Savelli diventava il centro di un fitto scambio d'informazioni tecniche e
pratiche sulla nobile arte della vinificazione.
Il Palazzo ed in particolare la sua cantina, che all'epoca si trovava nei sotterranei della casa padronale all'interno delle mura, diventavano pertanto l'anima ed il centro
logistico di questo antico mondo di relazioni quotidiane. Da ogni dove giungevano contadini e piccoli produttori locali per far testare il loro campione di vino nuovo, misurarne la
gradazione ed a tutti generosamente, com'era nella sua natura, Sesto metteva a disposizione i suoi strumenti e la sua saggezza.
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